Ieri i Virtuosi di Kiev in concerto per il Giubileo. Mons. Fisichella: «La musica di Dvořák per far risorgere in noi la fiaccola della Speranza»
Sala piena ieri all’Auditorium Conciliazione per il primo degli otto concerti gratuiti della rassegna “I Concerti del Giubileo - Armonie di Speranza”, in preparazione al Giubileo 2025, organizzata dalla prima sezione del Dicastero per l’Evangelizzazione. L’orchestra ucraina dei Virtuosi di Kiev, con il maestro Dmitry Yablonsky, ha eseguito, con grande emozione dei presenti, i quattro atti della 9° Sinfonia di Antonìn Dvořák, “Dal nuovo mondo”.
«Con il Giubileo vogliamo dare un segno tangibile che la Speranza non è una teoria, ma una certezza che ci accompagna. - ha detto S.E. Mons. Rino Fisichella, salutando il pubblico e introducendo il concerto - Della Speranza abbiamo bisogno ora, oggi, anche se ci parla di futuro. Per questo abbiamo realizzato una serie di iniziative culturali per fare in modo che anche il Giubileo parli alla città di Roma». Il Pro-prefetto del Dicastero ha espresso poi gratitudine al Commissario straordinario del governo, Roberto Gualtieri, e alla sua equipe per l'Intesa che ha permesso di dare vita alla rassegna culturale “Il Giubileo è cultura”. Il ringraziamento è giunto anche per la direzione dell’Auditorium, che ha concesso il teatro.
«Non potevamo iniziare a parlare di Speranza se non invitando un'orchestra, come quella dei Virtuosi di Kiev, obbligata a causa della guerra a lasciare il proprio Paese. Per stasera abbiamo scelto proprio la Sinfonia “Dal nuovo mondo” perché parlasse al cuore della città. Con Dvořák, il tentativo è quello di far risorgere in noi, attraverso la musica, la fiaccola della Speranza che illumina il nostro cammino e dà certezza che il male viene sempre vinto dalla bellezza e dalla Pace»
«State per vedere, non solo per ascoltare, qualcosa di impressionante», ha sottolineato poi don Alessio Geretti, che ha presentato la figura del compositore boemo, portando il pubblico dell’Auditorium all’interno del processo compositivo della Sinfonia. «Dico “vedere” perché in effetti la musica scaturirà come un sortilegio, e aprirà gli occhi a una visione del “nuovo mondo”. Dvořák, nato in un paese poco distante da Praga, sbarcò a New York per reggere il Conservatorio della città, nella seconda metà dell’Ottocento. Giunto lì, nel “nuovo mondo” fece tesoro della sua passione per l’ascolto delle tradizioni popolari, viaggiò molto, conobbe i canti dei neri d’America, e ne fu molto colpito. Non amava riproporre le melodie della tradizione ma voleva “diventare” uno di loro, tentando di scrivere quelle musiche in modo che fossero incarnazione di quella stirpe».
Ma il compositore ceco non si limitava a “imitare” come facevano i contemporanei. «Lui nel canto dei popoli ha colto il senso della vita, lo stesso che quei popoli avevano a loro volta colto. Tutto ciò è stato il materiale di partenza per lui, che si sentiva un esploratore. - ha aggiunto don Alessio - Mentre studiava quei canti degli indiani, scopriva che certe sonorità erano sicuramente diverse da quelle del mondo boemo, ma in fondo non erano così distanti come si poteva pensare. Perché tutto sommato, quando si va al cuore dell'uomo nelle arti si arriva sempre a qualcosa di universale, perché tutti ci stiamo domandando le stesse cose. Così iniziò a scrivere una Sinfonia “Del nuovo mondo”, ma si ritrovò a scriverne una “Del mondo nuovo”. Nei giorni precedenti alla prima esecuzione della Sinfonia, alcuni lutti importanti irruppero nella vita del compositore. A quel punto Dvorak seppe che il nuovo mondo non era l'America, ma quello in cui avrebbe potuto, e potremo anche noi, ritrovare gli occhi di coloro che aveva amato in vita».